Storia del giallo di Salvatore Argiolas
Ci sono diversi motivi che giustificano la preponderante presenza dei detective dilettanti nei gialli.
A parte il necessario bisogno di trovare un'identificazione del lettore nell'investigatore che non potrebbe accadere con un'intera squadra di poliziotti dobbiamo tener conto che la polizia londinese, fondata da Sir Robert Peel nel 1829 e i cui agenti vennero chiamati “bobbies” in suo onore, era vista dai rappresentanti dell'alta società inglese come un'organizzazione di subordinati, capaci a mala pena di sedare una rissa e utili a proteggere il loro mondo dorato e corrotto, ma non meritevole di nessun rispetto e considerazione.
Questo dato storico viene messo in evidenza nei gialli di Anne Perry, nata a Londra nel 1938, che offrono un perfetto spaccato della società vittoriana con le sue regole rigidissime, le sue stridenti ipocrisie e il suo classismo esasperato. A questi schemi intollerabili si ribella Charlotte, aiutata dalla sua fida sorella Emily e da Lady Vespasia Cumming-Gould anziana nobildonna, simpatizzante del movimento femminista delle suffragette, che permette alla coppia di investigatrici di entrare nel mondo dell'alta società, spesso protagonista di orrendi misfatti, precluso alle indagini dell'ispettore Pitt.
Sono infatti le tre donne a fornire indizi, pettegolezzi e prove all'ispettore che non può indagare negli ambienti altolocati sovvertendo la classica dipendenza dei detective dilettanti da una fonte ufficiale, qui è la polizia a dover richiedere assistenza a degli esterni.
Questa divisione classista del giallo viene confermata da Dorothy L. Sayers (1893- 1957), che crea un investigatore nobile, Lord Peter Wimsey, secondogenito del quindicesimo Duca di Denver.
Nobilissimo e di raffinata educazione Lord Peter frequenta Oxford dove ben presto “diventa alquanto intollerabile. Lord Peter ha una sfrenata passione per i casi criminali e agisce in connessione con l'ispettore Parker di Scotland Yard che fa tutto il lavoro materiale mentre il nobile detective tira le fila, avanzando teorie su teorie per arrivare ad una sintesi convincente.
Lord Wimsey si concede anche il lusso di polemizzare con un altro investigatore letterario, Roger Sheringham, protagonista di diversi gialli di Anthony Berkeley Cox compreso “Il caso dei cioccolatini avvelenati”, considerato, con le sue sei diverse soluzioni finali, un vero e proprio “libro di testo” della letteratura poliziesca.
In “The Layton Court Mystery”, Cox inventa il personaggio dell'investigatore Roger Sheringham il quale, oltre a risolvere intelligentemente un omicidio camuffato da suicidio (si tratta di un tipico delitto della camera chiusa), mette in mostra una particolarità inconsueta nel suo ruolo; si rivela infatti un uomo violento e sgradevole.
Anche il secondo romanzo avente come protagonista Roger Sheringham “The Wychford Poisoning Case” del 1926 noto in Italia come “Il veleno di Wychford” fu pubblicato anonimamente o meglio presentato come scritto dall'autore di "The Layton Court Mystery”.
Questo romanzo fu ispirato al famoso omicidio Maybrick avvenuto a Liverpool nel 1889 e dimostra la grande capacità di Berkeley di immaginare diverse geniali plausibili soluzioni al casi esaminati.
Piano piano le caratteristiche di Sheringham, concepito un po' come una caricatura dell'investigatore dilettante, che si vanta di poter risolvere qualsiasi delitto e non sempre ci riesce, mutano e pur elaborando ben motivate abduzioni che sembrano decisive, alla fine si dimostrano solo pregevoli azzardi fallimentari tanto che nel romanzo “Alta marea per Lord Peter” “Have His Carcase”di Dorothy Sayers, Lord Peter Wimsey stigmatizza il collega dicendo: “C'è il metodo di Roger Sheringham per esempio, tu provi con abbondanza di prove e dettagliatamente che A è l'assassino poi c'è il colpo di scena e alla fine si scopre che il colpevole è B, il primo sospettato che nel frattempo è stato quasi dimenticato...”
Un altro giallo creato per mettere la parola fine sul giallo deduttivo è “La vedova del miliardario” di Edmund Clerihew Bentley (1875 - 1956) e, invece la grande ironia della sorte ha voluto che questo libro fosse uno dei migliori del genere e la personalità del detective, Philip Trent, giornalista e investigatore dilettante è conseguente alla volontà dell'autore di parodiare il genere.
Il romanzo ha il titolo originale di “Trent's Last Case” “L'ultimo caso di Trent”, quasi a voler mettere una pietra tombale sulla possibilità di seguire le indagini deduttive di un detective.
“Mai più tenterò di chiarire un mistero. Il caso Manderson sarà l'ultimo di Philip Trent. Il suo presuntuoso orgoglio è crollato.” dice Philip Trent alla fine del libro e sembra parlare per tutti i suoi colleghi ma l'eterogenesi dei fini ha voluto ben diversamente.
Questi è un pittore, alto, giovanile, cordiale e un po' donchisciottesco. Di solito non ricorre a procedimenti scientifici e il suo metodo d'indagine si basa soprattutto sull'osservazione e sull'approfondito esame psicologico delle varie persone implicate nei delitti di cui ha modo di occuparsi.
Trent è un “amateur” che si è dedicato alle indagini leggendo la cronaca di un delitto sui giornali e risolvendo l'enigma come Auguste Dupin in “Il mistero di Maria Roget” di Edgar Allan Poe. La sua soluzione, spedita al quotidiano Record, lo mise in luce e fu ingaggiato dal giornale per coprire e risolvere altri casi criminali.
“La vedova del miliardario” comincia proprio con la morte del miliardario del titolo, un Trump ante litteram, che Bentley presenta come un essere spregevole: “Migliaia di poveri diavoli maledivano il suo nome, ma i finanzieri e gli speculatori non lo odiavano più. Era sempre pronto a intervenire in ogni angolo del Paese per proteggere e conservare il potere e la ricchezza. Efficiente. Freddo e infallibile in tutto ciò che faceva, contribuiva alla nazionale mania di grandezza: e il suo Paese, riconoscente, lo aveva soprannominato “il Colosso”. Dunque il “Colosso”, Sigsbee Manderson, miliardario americano viene trovato morto a White Gables, residenza estiva della famiglia nella campagna inglese, sotto una tettoia, a causa di un colpo di pistola che l'ha colpito all'occhio sinistro. Una rapida ricognizione ha accertato che non è stato rapinato. Trent si precipita nel luogo del delitto e incontra un vecchio amico, il banchiere Nathaniel Burton Cupples che è anche zio della vedova del miliardario.
Scherzosamente, ma sino ad un certo punto Trent dice a Cupples che gli chiede se era lì per fare un servizio sulla vicenda
“Preferirei dire che sono qui in veste di giustiziere, per dare la caccia al colpevole e vendicare l'onore della società. E' il mio mestiere. Servizio completo.”
Il colloquio con Cupples porta Trent a conoscere diversi dettagli sulla vita matrimoniale della vittima, quarantacinquenne sposato con una venticinquenne, che ultimamente stava attraversando un periodo coniugale abbastanza travagliato. Altre interessanti gli vengono date da alcune fonti che gli svelano particolari piuttosto strani della sera del tragico fatto.
Questi indizi che vengono trovati così facilmente sono una violazione della struttura consolidata del giallo che prescrive un'indagine lunga, complessa e contrastata ma Bentley voleva proprio scardinare le consuetudini del poliziesco, senza riuscirci peraltro.
Trovare copiosi indizi senza sudarseli e soprattutto senza subire l'abituale doccia scozzese di scoperte e sconfitte parziali, è una strategia narrativa di scarso successo che in questo caso viene attuata solo per la volontà dell'autore di screditare e destabilizzare il genere.
Trent fa lo spaccone ma è anche sarcasticamente critico sulla funzione dell'investigatore. Questa è seconda stazione fissa del genere, l'investigatore.
Questa figura è fondamentale ma anche difficile da gestire per l'autore di gialli, in quanto un detective deve avere una figura istituzionale per operare delle indagini e in questo caso il ruolo di giornalista di Trent offre un valido motivo per operare l'inchiesta.
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